Esperienza e povertà della guerra

A cura di: Aurora Fonda
Project management: Arianna Grosso. La mostra è stata realizzata in collaborazione con IoDeposito

Artisti: Primož Bizjak, Aleksander Velišček, Ryts Monet, Fabio Roncato, Alvise Bittente

 

La Prima Guerra Mondiale, dopo ad un secolo dal suo inizio, continua a occupare un ruolo fondamentale nella memoria collettiva: un lasso di tempo estremamente breve, ma che ha radicalmente cambiato il corso della storia, uno snodo determinante nella vita di milioni di uomini, che si presentò alla loro attenzione con tutta la sua terribile forza distruttiva. Per questa ragione, nel corso del processo di ideazione del percorso espositivo, sono state ricercate  immagini di archivio che rappresentassero testimonianza di alcune delle esperienze vissute nel corso di questo devastante accadimento della storia dell’umanità: gli scatti dell’epoca raccontano di ciò che la psiche degli individui ebbe modo di esperire.  La violenza esplosa durante i terribili anni del 1914-1918 quando le battaglie si ingigantirono, i rumori, la forza della violenza umana e di quella dell’artiglieria (ormai utilizzata massicciamente), unite al particolare stress emotivo, fecero si che, per la prima volta, oltre alle ferite fisiche si potesse parlare di ferite psichiche.

Il cuore espositivo della mostra è individuato nella contrapposizione, in base a comuni soggetti, tra le foto dell’epoca e le opere di arte contemporanea, testimoni dei cambiamenti intercorsi nella società nel corso del secolo. La coincidenza dei soggetti offre a chi guarda l’opportunità di comprendere come e che cosa la prima guerra mondiale abbia provocato nel genere umano, e si tratta di un processo storico che manifesta conseguenze nel corso del tempo, riaffiorando alla memoria sotto forme diverse.

Gli scatti riprodotti in una lunga galleria hanno la funzione di riportarci indietro nel tempo, di risvegliare la memoria e di creare il presupposto per la comprensione di un esperienza impossibile da narrare. Ed è proprio il fatto che la narrazione venga improvvisamente a mancare ad essere uno dei cambiamenti irreversibili causati dalla guerra. Il sapere, le tradizioni che fino ad allora si trasmettevano oralmente, da persona a persona, dove l’esperienza era al centro della narrazione, con la Grande Guerra per la prima volta diventano qualche cosa di impossibile da raccontare, come nota Walter Benjamin, nel suo breve scritto intitolato per l’appunto Esperienza e povertà: “Non si poteva già allora constatare che la gente se ne tornava muta dai campi di battaglia? Non più ricca, ma più povera di esperienza comunicabile.” Ed è proprio questa ‘impossibilità di rappresentare’ che ha definitivamente e irrimediabilmente cambiato, attraverso la guerra, il nostro secolo, introducendo un approccio in cui l’esperienza tradizionale e la dimensione narrativa della realtà contano sempre meno, provocando un cambiamento di vaste proporzioni che ha avuto ripercussioni significative sui decenni a venire.

Le opere d’arte contemporanea diventano occasione di contatto e di assimilazione di quell’incomunicabile sentire, comune all’epoca, e mutuato da un secolo di trasformazioni ed elaborazioni di cui la prima guerra mondiale fu il punto di partenza.
Facendo propria l’analisi di W. Benjamin, “in un paesaggio in cui niente era rimasto immutato tranne le nuvole e nel centro – in un campo di forza di esplosioni e di correnti distruttrici – il minuto e fragile corpo umano”, protagonista diventa il singolo uomo e la sua impotenza di fronte a forze che, suo malgrado, lo trascinano attraverso un percorso costellato di immagini talmente feroci da impoverirlo e renderlo silente. Questo “silenzio” diventa quindi il nodo cruciale, l’apice di una climax, ancora più implacabile dell’artiglieria. Cosa è più violento del senso di solitudine generato da qualcosa che non si è nemmeno in grado di comunicare?