La famiglia Manin
Dalla Toscana al Friuli
Da Firenze, la famiglia dei Manini, titolari di banchi di pegno, fugge in esilio in Friuli, più precisamente a Udine, negli anni del patriarcato di Raimondo Della Torre, a irrobustire ulteriormente una comunità toscana già forte in un territorio che, essendo economicamente arretrato rispetto all’Italia centrale, presenta maggiori possibilità di sviluppo. Nella lotta in corso tra Venezia e il Patriarcato di Aquileia per il controllo del Friuli, subito i Manini appoggiano le mire espansionistiche della Serenissima, ottenendone grandi vantaggi e affiancandosi in questo ai Savorgnan e ai Del Torso.
Manino III si stabilisce a Udine nel 1312 e da lui discenderà quell’Antonio Manin (ora il cognome è venetizzato) che nel 1578 acquista la Gastaldia di Sedegliano e fa costruire nel minuscolo borgo di Passariano una casa padronale di grandi dimensioni. All’epoca il paese contava soltanto sedici famiglie ma il territorio, compreso tra le risorgive dello Stella e del Taglio, era ricco di acque che potevano alimentare numerose attività produttive, e nei dintorni vi erano già presenti ville e terreni di proprietà di importanti famiglie friulane, come i Colloredo.
Lodovico I ottiene nel 1651 il titolo di patrizio della Repubblica di Venezia, grazie al contributo (centomila ducati) della sua ricca famiglia al risanamento dei debiti dovuti alla lunga guerra di Candia, contro i Turchi.
Nei centocinquant’anni successivi i membri della famiglia Manin intraprendono una “scalata” ai vertici della Serenissima, conquistando i ranghi di luogotenenti, capitani, residenti, senatori e procuratori di San Marco.
La ricchezza della famiglia è davvero notevole: agli inizi del XVIII secolo la proprietà fondiaria era di oltre 12mila ettari e andava dal Polesine fino all’Istria, mentre proprietà immobiliari erano sparse da Rovigo a Padova, da Vicenza a Belluno, fino alle province di Gorizia e Trieste. I Manin edificano il palazzo di Udine e sostengono le gerarchie ecclesiastiche con significativi interventi in edifici religiosi a Venezia, come la costruzione della chiesa dei Gesuiti e la cappella di San Giuseppe degli Scalzi, e ancora a Udine, con l’edificazione dell’omonima cappella, la ristrutturazione degli spazi all’interno del duomo e gli interventi a San Pietro Martire.
Lodovico, ultimo doge
Sarà un membro di questa famiglia, Lodovico, ad assumere, il 9 marzo 1789, la massima carica della Repubblica di Venezia, quella di doge, per assistere impotente, nel 1797, alla sottoscrizione del Trattato di Campoformio che cede Venezia all’Austria e scrive la parola “fine” alla millenaria storia della Serenissima.
Nei secoli successivi, cambiando il contesto storico dell’ascesa della famiglia, prende avvio un lento declino contrassegnato dai contrasti famigliari dovuti alle successioni del patrimonio e dalla graduale perdita dei latifondi agricoli che davano vita alle attività collegate alla presenza della villa e degli annessi edifici (mulino, cartiera, cantina, ecc.).
Mentre si depaupera progressivamente la ricchissima serie di arredi d’arte, suppellettili preziose e veri e propri capolavori (si perdono le tracce di oltre sessanta dipinti di maestri veneti, tra i quali Canaletto e Guardi, oltre che di due mappamondi del Coronelli) che ai tempi dei fasti settecenteschi costituiva la dotazione della villa, si alternano anche le occupazioni militari dell’intero compendio dei Manin, dalle truppe napoleoniche a quelle austroungariche e tedesche che qui si installarono nel corso della Prima guerra mondiale.
La decadenza e l’abbandono della villa si interrompono solamente negli anni Sessanta, quando sia l’immobile con le sue pertinenze che il parco vengono acquistati e restaurati (1969) dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia. Il conte Giovanni, ultimo esponente della famiglia dell’ultimo doge, scompare senza eredi nel 1997.
